BASILICATA, IL BOOMERANG DEL CENTROSINISTRA. E LA MAGGIORANZA ORA TEME SOLO AUTOGOL E «FUOCO AMICO»

Il trittico delle Regionali era la prova generale dei partiti in vista delle Europee. Ma dopo la vittoria iniziale in Sardegna, il centrosinistra aveva affidato a questi mini test una valenza politica nazionale, quasi fossero l’inizio di un cambio di fase nel Palazzo e nel Paese. La successiva sconfitta in Abruzzo ha trasformato l’operazione mediatica delle opposizioni in un boomerang politico. E il pasticcio nelle trattative per il candidato comune in Basilicata ha chiuso anzitempo la sfida a vantaggio del centrodestra.

Il voto di ieri — per quanto coinvolgesse un ridotto numero di elettori — ha confermato il problema che affligge il campo largo. Sotto il profilo aritmetico il centrosinistra sarebbe stato competitivo se Iv e Azione si fossero alleati con Pd e M5S, ma solo sulla carta. Perché in Abruzzo l’esperimento del «fronte unico» era fallito, dimostrando la difficoltà delle forze di opposizione di stare insieme, per un’assenza di appeal elettorale che è dovuta all’assenza di un progetto politico alternativo alla maggioranza.

Così l’Ohio è scomparso dalla cartina geografica che Schlein e Conte avevano immaginato come anticipo della rivincita su Meloni. E come non bastasse, le vicende giudiziarie di Bari e della Puglia hanno aperto un conflitto tra i due leader che si protrarrà oltre le Europee, perché M5S mira a conquistare l’egemonia sul popolo di sinistra usando strumentalmente la questione morale contro il Pd. A questo si aggiungono le violente polemiche interne ai democratici per la decisione della segretaria di candidarsi al Parlamento di Strasburgo e per l’idea — poi ritirata — di mettere il proprio nome sul simbolo del partito.

Ecco come si avvicinano al voto del 9 giugno le opposizioni, al punto che ironicamente il capogruppo forzista Barelli — molto soddisfatto del risultato azzurro in Basilicata — si dichiara un «militante convinto del duo Conte-Schlein. Guai a chi ce li tocca». È certo che la navigazione del governo non incontrerà ostacoli (almeno fino alle Europee) da parte delle opposizioni. I suoi problemi sono tutti interni. A partire dall’incognita del Carroccio e dalle sorti del suo leader. Sorti che non sono più solo legate al risultato delle Europee, se è vero che uno dei maggiori rappresentanti del partito arriva a dire: «Penso comunque sia difficile un suo cambio a breve». Appunto «a breve».

L’esito del dibattito interno alla Lega fa capire quali saranno le difficoltà che conseguentemente la presidente del Consiglio dovrà affrontare nella gestione dell’esecutivo e dell’alleanza, in un tornante delicato del Paese sotto il profilo economico e sociale. Che sono proprio i temi sui quali un governo si gioca la riconferma. Perciò, proprio per la complessità dei dossier da risolvere, la cosa meno opportuna per Meloni sarebbe dover disperdere le proprie energie per evitare errori e «fuoco amico». Che invece nel centrodestra si susseguono, complici anche i dirigenti della premier che contribuiscono in modo determinante.

Lo riconosce un autorevole rappresentante di FdI, secondo il quale «non ci sono abbastanza tapiri per tutti quelli del mio partito che dovrebbero essere premiati». E così dicendo elenca i passi falsi . C’è il caso Scurati, «che è stata una trappola dell’opposizione anche se in Rai hanno fatto a gara a chi fosse il più ortodosso tra gli ortodossi». C’è la polemica sull’emendamento per i consultori inserito nel Pnrr, «deciso dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano». E c’è la trattativa per i candidati alle Regionali: «Andavano confermati tutti gli uscenti, invece di chiedere per noi la Sardegna. E quello è stato un doppio errore: perché ci siamo dovuti assumere la paternità della sconfitta e perché, se non avessimo forzato la mano, l’anno prossimo sarebbe stato più facile dire agli alleati che il Veneto tocca noi». Quando una maggioranza non ha contro un’opposizione, il rischio è l’autogol. Che può portare alla sconfitta.

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