PRODI E LE CRITICHE A SCHLEIN: «IO NON SONO UN SUGGERITORE, IL PD DIA L’ESEMPIO»

Raccontano che non comprenda lo stupore per le sue affermazioni: «Come avrebbe mai potuto farne di diverse dopo che per mesi ha detto la stessa cosa? Poteva forse evitare di rispondere alla domanda solo perché Elly Schlein aveva appena annunciato la sua candidatura?».

Bisogna pesare bene le parole che rimbalzano dalla casa di via Gerusalemme, a Bologna, e Intanto,riferisce chi gli ha parlato, rivendica di dover dire quello che pensa, perché «tutti conoscono le sue priorità». Nega di essere un suggeritore, pur avendo un «particolare affetto per quel partito». Esclude che il suo sia un attacco, piuttosto «un appello a quei principi che dovrebbero ispirare tutti i leader di partito». Non solo Schlein, ma anche Meloni, Tajani e chi ha compiuto il medesimo passo. Solo che «mentre alla destra si perdona tutto, il Pd è tenuto a dare l’esempio e per denunciare l’assottigliamento democratico bisogna rispettare certi canoni, non si scappa». Bene quindi «che il nome della segretaria non sia più nel simbolo».

A cascata si fa sapere che nessun contatto c’è stato, in questi giorni, con esponenti dem sulle scelte della segretaria. Né tantomeno dal Nazareno è arrivata una telefonata, il giorno prima dello showdown, per avvisare che «comunque, nonostante le parole di Prodi», Schlein avrebbe annunciato la sua candidatura per Strasburgo. Una mossa di cautela che, è possibile ipotizzarlo, avrebbe potuto ammorbidire i toni prodiani. Ma è anche un dettaglio rivelatore della dinamica dei rapporti tra Schlein e il fondatore. O il vertice del Pd aveva messo in conto la sciabolata, come un dazio ormai inevitabile. Oppure chi ha deciso la linea, sperando magari di uscirne senza danni, ha dimostrato di non conoscere la pervicace coerenza — qualcuno la definisce anche testardaggine o puntiglio — del fondatore dell’Ulivo. Uno che è andato dritto incontro al suo destino quando si è trattato di mettere ai voti, e quindi affondare, il suo governo in Parlamento, nel 1998 e nel 2008. «Perché decidono gli eletti dal popolo». Figurarsi se rinunciava a confermare il suo punto di vista, solo perché la segretaria si era appena pubblicamente esposta.

D’altra parte, ormai si sa, il racconto del legame tra Romano ed Elly è stato erroneamente veicolato, in principio, come comunanza di vedute. Il bon ton e il sostegno per piena approvazione. Mentre la differenza di visione è la cifra più autentica del rapporto. Non solo per il voto a Bonaccini alle primarie da parte dell’ex premier (da lui mai sbandierato), ma anche per l’approccio filosofico di Prodi, il quale, ad esempio, da tempo spinge per la creazione di un programma che metta in testa i problemi delle persone, «magari attraverso convention nelle città». Quando a Prodi, recentemente, è stato chiesto un giudizio sulla segretaria, ha risposto: «È nella situazione più difficile in cui si possa trovare una leader. Per sciogliere nodi complessi serve tempo». Non proprio una promozione a pieni voti. Ora i «nodi complessi» stanno venendo al pettine.

Ma la predisposizione del Professore a dire ciò che pensa è stata anche giudicata come il segnale di uno squilibrio. Il vecchio che dà consigli al giovane forse non sempre benvenuti. O richiesti. O il partito orfano che cerca il padre e che non trovandone altri si rivolge sempre a lui: Prodi. C’è poi chi ha iniziato a elencarli questi consigli, via via, notando maliziosamente che sono diventati più frequenti o più netti negli ultimi tempi. Soprattutto dopo che l’ex premier e presidente della Commissione Ue è definitivamente uscito da qualunque gioco politico, calato il sipario anche sul Quirinale. «Se mi chiedono, io rispondo. Non sono un padre, ma un nonno che può somministrare affetto, non influenza e comando». Fino a un certo punto.

2024-04-23T05:40:00Z dg43tfdfdgfd